Infondate preoccupazioni #5
Care Colleghe, Cari Colleghi,
in questo post intendo anticiparVi e condividere con Voi il contenuto di un possibile intervento all’Assemblea di Ateneo, convocata dal Rettore per l’11 Novembre, al fine di contribuire ad una discussione animata e partecipata.
Per prima cosa intendo esprimere la mia gratitudine al Rettore per avere indetto una Assemblea per discutere del Progetto di Legge 2393 “Misure per la semplificazione normativa e il miglioramento della qualità della normazione e deleghe al Governo per la semplificazione, il riordino e il riassetto in determinate materie” e la conseguente legge Delega al Governo, prevista all’Art. 20, in materia di formazione superiore e ricerca.
Di contro, ho gradito meno la cosiddetta “bozza di lavoro” che abbiamo ricevuto dal Prorettore Vicario. Ritengo infatti, che quando si convoca una Assemblea di Ateneo, sia opportuno raccogliere le idee che emergono dalla libera discussione e sulla base di ciò che emerge elaborare un documento programmatico da sottoporre successivamente agli organi collegiali. Invece, ci è stato proposto un documento con delle proposte concrete che non credo siano frutto di una discussione collegiale e che in qualche modo, provenendo dalla Governance dell’Ateneo, possono indirizzare l’Assemblea stessa. Credo di poter affermare che siamo un Ateneo maturo che non ha bisogno di essere indirizzato in una discussione, ma tant’è!!
Andiamo al merito. Ho trovato il documento che ci è stato proposto poco condivisibile, poco solido (per essere elaborato da accademici), e anche molto debole come elemento di base negoziale. Il documento è una rivendicazione, soprattutto di nuovi finanziamenti: fondo perequativo per le università meridionali, partecipazione finanziaria del MUR alla chiamata esterna di professori italiani di altre sedi, finanziamenti per il precariato, fondi ministeriali per il precariato, per le premialità e così via. A fronte di tali richieste, è del tutto assente un minimo di analisi critica della situazione, una riflessione costruttiva, una più approfondita esplicitazione delle motivazioni che giustificherebbero l’assoluta contrarietà a ogni forma di controllo/indirizzo dell’autonomia da parte del Governo (“inopportune presenze obbligatorie di rappresentanti di nomina governativa negli Organi di governo delle Università”). Insomma una lettura del tipo “dateci più finanziamenti e non venite a sindacare come li spendiamo”.
Alla luce di quanto evidenziato, avanzerò di seguito alcune proposte costruttive e motivate su quattro punti che ritengo i più importanti nella discussione in atto, ovvero: finanziamenti e governance delle università, ASN, ANVUR e autonomia. Farò anche riferimento al mandato del Rettore, anticipando che sono favorevole a quanto evidenziato nella proposta.
In relazione al primo punto, vorrei primariamente sottolineare che non dobbiamo mai dimenticare che l’Università pubblica italiana è in gran parte finanziata attraverso le tasse dei contribuenti (circa il 70% se si tiene conto solo dei trasferimenti statali che sale al 74% se si aggiungono i trasferimenti degli enti territoriali) e quindi in ultima analisi dal Governo. Parafrasando Padoa Schioppa, i contributi sono il motore della democrazia perché consentono la redistribuzione del reddito e l’erogazione di servizi anche e soprattutto a coloro che non potrebbero permetterseli, come l’alta formazione per l’appunto. Per questo, quando si usano le risorse dei contribuenti occorre tenere sempre presente quali sono gli obiettivi della collettività ed usare bene le risorse in quanto com’è noto la pressione fiscale in Italia è tra le più alte in Europa.
Ora è vero che l’Università italiana è sottofinanziata rispetto ai paesi UE (circa lo 0,7%-0,8% del PIL contro una media di circa 1,2% del PIL dei UE-27[1] nel 2023), ma per onestà intellettuale bisogna anche dire che l’Università italiana è l’unica a non avere un rappresentante del Governo, o di Agenzie Governative nel Consiglio di Amministrazione delle università pubbliche. Per rimanere alle 20 top università pubbliche europee, in Francia (PSL University - Paris Sciences & Lettres, Université Paris-Saclay, Sorbonne Université) e in Olanda (University of Amsterdam - UvA, Delft University of Technology - TU Delft) c’è almeno un membro designato dal Ministero per la ricerca e/o la formazione o equivalente; in Germania (LMU Munich, Technical University of Munich - TUM, Heidelberg University, RWTH Aachen University) e in Spagna (Universitat de Barcelona - UB, Universitat Autònoma de Barcelona - UAB, Universidad Autónoma de Madrid - UAM) c’è almeno un membro designato dal Ministero della cultura dello Stato/Regione di appartenenza; infine in Svizzera c’è almeno un membro, talvolta anche il Presidente, designato dal Consiglio Federale Svizzero. Solo UK fa eccezione (Imperial College London, University College London - UCL, University of Oxford, King’s College London), ma com’è noto le citate università “pubbliche” inglesi sono finanziate in gran parte dagli studenti (35-40%), da grant di ricerca (circa il 25%), da entrate operative per servizi (circa il 15%) e solo circa il 12% dall’Ofs (Office for Students, cioè l’ente regolatore pubblico del sistema universitario).
Pertanto, a parte la coerenza con la letteratura del New Public Management (che ad esempio ha portato alla creazione degli Hochschulräte in Germania) che supporta l’opportunità di un maggiore controllo/indirizzo da parte dell’ente finanziatore pubblico nelle università, senza per questo lederne l’autonomia, ritengo che costituisca una buona e onesta base negoziale chiedere al Governo di colmare il gap di finanziamento delle università italiane rispetto la media UE-27 con una apertura alla possibilità di avere un membro del CdA di nomina ministeriale. Ciò non lede in alcun modo l’autonomia delle Università (stiamo parlando di un solo membro su 12), aumenta l’indipendenza del CdA dalla Governance (che invece talvolta potrebbe costituire un problema limitando il ruolo di bilanciamento dei poteri all’interno della governance universitaria), avvicina l’Università ai contribuenti e ci potrebbe consentire di ridurre il sotto-finanziamento che rappresenta il vero problema dell’università italiana. Si potrebbe anche discutere di come questo potrebbe avvenire onde evitare di trovarci il primo silurato della politica seduto in CdA. Ma anche su questo si potrebbero avanzare proposte serie come ad esempio la costituzione di un albo nazionale aperto (solo?) a professori universitari con caratteristiche appropriate a svolgere il ruolo di consigliere di amministrazione a cui il MUR dovrebbe attingere per il ruolo.
Bisogna inoltre fare attenzione a chiedere interventi perequativi, come quello relativo alle università meridionali, che sono di fatto già in atto. Il documento[2] “Il sistema universitario: un confronto tra Centro-Nord e Mezzogiorno” della Banca di Italia chiarisce bene come l’incidenza del finanziamento statale valga circa il 63% per le università del Nord, il 70% per quelle del Centro e il 74% per le università del Mezzogiorno/Sud/Isole. Ciò è in parte dovuto alla introduzione della no-tax area che perequa (non avvantaggia) le zone più povere del paese[3].
Concludendo, su finanziamento e governance delle università, in linea con le teorie del New Public Management e con quanto avviene in altri paesi europei, io sarei favorevole a una apertura della Governance universitaria a un maggiore indirizzo/controllo dell’ente pubblico finanziatore mediante la designazione da parte MUR di un componente del CdA, estratto da un albo nazionale appositamente creato, a fronte della riduzione, (anche) programmata, del gap di finanziamento delle università pubbliche italiane rispetto alla media di quelle UE-27.
Il secondo punto riguarda la riforma dell’ASN. Io non mi trovo d’accordo con quanto riportato nel documento “bozza di lavoro”. In primo luogo l’ASN non è “[una verifica della produzione scientifica,]…[esclusivamente limitata a indicatori numerici]”. All’ASN si accede attraverso indicatori bibliometrici (che sono discutibili – ma di questo ne parlerò in seguito), ma successivamente è prevista una valutazione dei titoli e della produzione scientifica da parte di cinque commissari che deve prescindere, se fatta seriamente, dalle valutazioni bibliometriche. Inoltre, dalla mia esperienza di Commissario/Presidente di commissione ASN, è semplicemente utopistico pensare di gravare l’ASN con un “colloquio” dei candidati. Già l’onere di leggere le pubblicazioni e valutare i titoli dei candidati è iper eccessivo e per questo a volte non assunto con la necessaria profondità, figuriamoci fare i colloqui ai candidati. Infine, non sono nemmeno d’accordo che la ASN diventi una verifica della qualifica di docente, ovvero che essa sia gravata della prova didattica. La ragione è semplice: l’ASN è una abilitazione scientifica, ovvero valuta la capacità di un candidato di contribuire al dibattito scientifico nel proprio Gruppo Disciplinare a secondo del ruolo (PA o PO). La responsabilità di assumere un docente, nel nostro sistema, è delle Università nell’ambito della propria autonomia!!! Sono le università, nella loro autonomia, a dover verificare che la persona che viene assunta sia effettivamente in grado di trasferire la conoscenza agli studenti.
A mio avviso, l’ASN va mantenuta e riformata nella direzione della qualità della ricerca scientifica rendendola meno vincolata alla quantità e alle valutazioni bibliometriche (che sono sempre più oggetto di manipolazione[4] e “inquinamento distorsivo” da parte di journal predatori o pseudo tali[5]). Riformerei le soglie per l’accesso; la prima soglia la allineerei alla VQR, ovvero per presentarsi un ricercatore/professore deve aver prodotto almeno 2-3 pubblicazioni in 5 anni. Sostituirei la soglia delle citazioni con l’utilizzazione dell’Article Influence Score (AIS)[6] ed eliminerei quella relativa all’ h-index. L’incentivo è chiaro: meno enfasi sulla quantità e più enfasi sulla qualità delle pubblicazioni e sull’etica della ricerca.
Il terzo punto riguarda l’ANVUR. Su questo punto la “bozza di lavoro” è piuttosto vaga; infatti, mentre solleva il rischio che essa possa diventare a guida governativa, non mi pare esprima una valutazione perentoria (come nel caso del CdA delle università).
Secondo me, invece, questo elemento è quello su cui dobbiamo fermamente esprimere la nostra contrarietà. L’ANVUR è l’agenzia di valutazione dell’Università e della Ricerca e come tale deve rimanere indipendente da qualsiasi organo che finanzi l’Università. Non solo perché ciò è in linea con le teorie del New Public Management molto bene evidenziate dall’OECD[7], in linea con lo “Standard 3.3 – Indipendence” dell’ESG 2015 della Commissione Europea[8], ma anche perché è ciò che avviene in Germania e in Spagna, ove questa scelta è stata giustificata proprio per allineamento allo standard 3.3 del documento ESG 2015.
Ecco perché ritengo che l’Università debba opporsi ad una nomina ministeriale, sebbene attraverso DPR, del Presidente dell’ANVUR, come previsto dalla riforma di cui si sente parlare e che questi continui ad essere eletto dai componenti del Consiglio Direttivo a maggioranza qualificata.
Nella “bozza di lavoro” si sottolinea l’importanza dell’autonomia delle università cosa sulla quale sono ovviamente d’accordo. Credo però che l’esercizio dell’autonomia comporti decisioni responsabili. Veniamo a due punti che sono stati sollevati durante la precedente discussione ovvero quello relativo alla qualificazione della docenza e la qualità della ricerca.
L’Università di Palermo ha recentemente esitato un regolamento per la selezione degli RTT (DR 1653/2025) che tra le altre cose richiede che il candidato sia valutato sulla base degli “esiti della valutazione degli studenti, se disponibili” e sullo “svolgimento di una prova didattica in seduta pubblica”. Il nostro regolamento per la selezione di professori di prima e di seconda fascia (DR n. 585/2024) prevede una valutazione che, tra le altre cose, si basa sullo “svolgimento di una prova didattica” riservata solo ai professori associati senza tenere conto degli esiti della “valutazione studenti”. Ora, mi sembra che ci troviamo di fronte ad una situazione abbastanza paradossale; ad un giovane che si candida per cominciare la sua carriera accademica, e che probabilmente non ha nemmeno insegnato, chiediamo, oltre ad una prova didattica di tener conto della valutazione da parte degli studenti, mentre ad un candidato per PA, che invece ha già maturato esperienza didattica, chiediamo una prova didattica senza preoccuparci della valutazione da parte degli studenti, ed infine ad un candidato a PO non solo non richiediamo la prova didattica, a meno che non transiti da una precedente posizione di PA, ma non chiediamo la valutazione della didattica da parte degli studenti. Ora mi domando, invece di chiedere che sia l’ASN ad accertare la qualificazione della docenza perché non esercitiamo la nostra autonomia e perseguiamo il nostro interesse per la qualità della didattica cercando di valutare l’attitudine alla didattica dei professori di prima e seconda fascia che assumiamo, come del resto fa, ad esempio, l’Università di Bologna? Io credo che un regolamento siffatto incentivi i docenti ad impegnarsi di più per migliorare la qualità della didattica.
Veniamo alla questione della qualità della ricerca. Nel 2019 il collega Mario Sylos-Labini, economista dell’Università di Pisa, insieme con due colleghi europei ha pubblicato uno studio seminale[9] sulla prestigiosissima rivista Research Policy dal quale emerge, già allora, come circa il 5% dei ricercatori italiani pubblichi su riviste predatorie e come questo sia costato alla ricerca italiana più di 2,5 milioni di dollari. Un danno non solo economico, ma lesivo dell’integrità della valutazione e della ricerca stessa. Nel 2021 Nature-news pubblica un articolo che denuncia come oltre 300 riviste predatorie abbiano “inquinato” il database Scopus, uno dei dataset più utilizzati per il calcolo di indici reputazionali come le citazioni e l’h-index dei ricercatori di tutto il mondo. Molte Università, come anche la nostra, hanno assunto delle linee guida che attenzionano la problematica ai ricercatori e promuovono l’utilizzo di directory e check list (es. Think-Check-Submit) per la scelta della rivista. Tuttavia alcune università (es. Cranfield, UCL, Freie Universität Berlin, Università degli Studi di Milano) sono andate oltre adottando risoluzioni che vietano l’utilizzo di fondi dell’Università per pubblicazioni in riviste predatorie o pseudo tali e/o che non rientrino in directory Open Access accreditate (es. DOAJ) per contrastare un fenomeno che potrebbe essere riassunto come “segare il ramo su cui siamo seduti”. Perché non assumiamo una deliberazione simile anche noi?
Ecco questi sono due esempi di utilizzo della autonomia in maniera responsabile per il bene dell’Ateneo e dell’Università in generale. Decisioni difficili, forse anche impopolari, ma assolutamente necessarie.
Queste riflessioni conducono all’ultimo punto: il mandato del Rettore. In questo sono assolutamente d’accordo con “la bozza di lavoro”, ovvero mandato unico di 6 anni. Governare significa sempre un po’ scontentare. Una verifica a metà mandato rende meno efficace l’azione del Rettore perché necessariamente assoggettata al mantenimento di un elevato gradimento. Sei anni sono più che sufficienti affinché un programma serio e responsabile posso esplicare i suoi effetti e poi…ai posteri l’ardua sentenza.
Spero di poter esprimere queste mie idee nell’ambito dell’Assemblea e contribuire ad un dibattito ricco e partecipato. In ogni caso Vi ringrazio per l’attenzione e mi scuso per la lungaggine.
Cordiali saluti
Giovanni Perrone
[1] Eurostat, General government expenditure by function (COFOG), 2025
[2] Banca di Italia, Questioni di Economia e Finanza: Il sistema universitario: un confronto tra Centro-Nord e Mezzogiorno, Marzo 2022
[3] MUR - DGPBSS – Ufficio VI – Servizio Statistico. 2025. La contribuzione studentesca negli Atenei e negli istituti AFAM nell’anno accademico 2023-2024
[4] Ibrahim, H., Liu, F., Zaki, Y. et al. Citation manipulation through citation mills and pre-print servers. Nature - Sci Rep 15, 5480 (2025).
[6] L’ASI pesa in maniera diversa la fonte di citazione, ovvero se ti cita una rivista di prestigio la citazione vale molto di più che ti citi una rivista non di prestigio – esempio una rivista predatoria (vedi https://guides.library.cornell.edu/impact/eigenfactor? )
[7] https://www.oecd.org/content/dam/oecd/en/publications/reports/2014/07/the-governance-of-regulators_g1g3fcdb/9789264209015-en.pdf
[8] https://www.enqa.eu/wp-content/uploads/2015/11/ESG_2015.pdf
[9] Bagues, M., Sylos-Labini, M., & Zinovyeva, N. (2019). A walk on the wild side: ‘Predatory’journals and information asymmetries in scientific evaluations. Research Policy, 48(2), 462-477.
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